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Nel Dizionario di Geografia Oxford (A Dictionary of Human Geography di Noel Castree, Rob Kitchin e Alisdair Rogers), sub voce “Public Geography” leggiamo:

Gli interventi dei geografi rivolti o prodotti con un pubblico non accademico e che sottolineano l’importanza dei valori sociali in materia di dibattito. Il termine “geografie pubbliche” è spesso usato anche per implicare che non ci sono solo molti pubblici, ma anche molti modi in cui geografi accademici e non accademici possono impegnarsi in modo costruttivo. L’idea di una geografia pubblica è nata negli anni 2000 in risposta a un discorso presidenziale all’American Sociological Association di Michael Burawoy (Università della California, Berkeley). Con l’obiettivo di recuperare uno scopo più ampio per la sociologia, ha fatto una distinzione tra due tipi di pubblico (accademico ed extra-accademico) e due tipi complementari di conoscenza, strumentale e riflessiva. Il primo riguarda la risoluzione dei problemi, il secondo è un dialogo sui fini e sulle premesse di valore. Quando combinati, definiscono una divisione del lavoro (vedi tabella 2).

La “sociologia pubblica” si distingue dalla “sociologia della politica” per la sua preoccupazione per i valori piuttosto che per i problemi. Per estensione, la geografia pubblica non è la stessa geografia applicata o rilevante per le politiche, perché si tratta in gran parte di risolvere problemi, ad es. difesa costiera o trasporti efficienti. La visione di Burawoy si affianca ad altre in uno spettro di aree geografiche pubbliche. Ciò che questi potrebbero comportare è elaborato da Kevin Ward. Potrebbe implicare rendere la ricerca geografica più accessibile utilizzando varie forme di media popolari. Può includere la conoscenza geografica insieme ai membri del pubblico, cioè il riconoscimento dei valori delle competenze laiche. Potrebbe anche significare dare un maggiore riconoscimento alla conoscenza geografica laica o extra-accademica a sé stante.

In Italia il dibattito sulla Public Geography (PG) è stato promosso dall’Associazione dei Geografi Italiani (AGeI). Come recita il suo Manifesto, la P.G. è considerata il punto di sintesi di una istanza costitutiva della Geografia tout court, legata innanzitutto al suo statuto di disciplina critico-sociale, rivendicato già negli anni Sessanta da Lucio Gambi.

Ciò nonostante il neologismo non è fine a se stesso, giacché punta a evidenziare la vocazione civica della disciplina, ampliandone gli orizzonti nell’ambito di un dibattito internazionale, animato da iniziative analoghe avviate da altri ambiti di studio (come la Public History e la Public Anthropology). Si punta quindi a evidenziare le tecniche comunicative con cui la P.G. evidenzia con rinnovato slancio il ruolo sociale della Geografia in tutte le sue articolazioni, a partire innanzitutto dal suo impegno verso la conoscenza e valorizzazione del territorio e dell’ambiente, elementi indivisibili di una “casa comune” indagata in chiave sistemica e integrale, per comprenderne le dinamiche e i processi di sviluppo, dal punto di vista storico-sociale ed economico-politico.

A tal fine il sapere geografico è considerato un impegno concreto verso il bene comune, nelle attività di ricerca, didattica e terza missione, conformemente allo statuto della Geografia quale disciplina aperta al confronto, orientata all’utilità sociale, chiamata ad accogliere, contestualizzare, sistematizzare e condividere conoscenza, costruendo una più efficace interazione e comunicazione scientifica con il territorio e la società civile. Tali istanze non sono nuove: temi, metodi e obiettivi della P.G., infatti, sono stati anticipati o prefigurati da studi di geografia applicata, civile, umanistica o social-radicale pubblicati nel corso degli ultimi decenni.
Gli ambiti di azione della P.G. possono comunque distinguersi per la precipua finalità sociale e, ulteriormente, per l’adozione di tecniche comunicative avanzate, applicabili sia nel campo della ricerca pura o applicata (in ottica interdisciplinare) sia in quello professionale, accademico e non.

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